martedì 3 novembre 2015

Un'intelligenza che non si deve accontentare mai


Arriva per tutti il momento fatidico che chiamiamo morte; arriva per i demoni e per i santi, arriva per i Profeti illuminati dal Cielo e per la sequoia vecchia di tremila anni. Nascere è un morire e il morire è un diverso nascere. 
Nulla sembra essere tanto distante da noi quanto è il morire. 
Nulla dà la sensazione che ci possa essere una giustizia altrettanto severa.
Si entra nell'esistenza senza volerlo, e se ne esce senza potersi rifiutare, perché la spira che ognuno percorre del vortice esistenziale entra sul piano dell'esistenza dall'esterno che sta al di sotto di questo piano, ed esce da quest'ultimo entrando nel piano di esistenza successivo. 
Il punto di entrata sancisce la nostra nascita, mentre quello di uscita è della nostra morte. Non appartenendo questi due fatidici punti al piano di realtà sul quale si vive essi ci sono sconosciuti, ma tutti conoscono gli effetti dati dal loro esserci.
In mezzo a questi due momenti che ci sfuggono noi viviamo e vivremo ancora, liberi dai ricordi e di nuovo pronti a danzare di fronte al Mistero, come ubriachi ebbri del nettare della vita inciampiamo e bestemmiamo sputando il sangue delle nostre sofferenze, mentre decoriamo il nostro esserci coi desideri che ci distraggono dal dover considerare la verità che ci riguarda.
Desideri che il soddisfare sostituisce con desideri più grandi, mentre il fine dell'esistenza è la soddisfazione della nostra intelligenza che non si deve accontentare mai.

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