venerdì 16 ottobre 2015

In perenne movimento attorno a Ciò che non si muove

Perenne significa ciclico, non eterno. 
L'eternità è al di sopra della durata perché ne è la causa.
In questo doversi muovere tutto cambia, e noi siamo parte di questo tutto.
Il sangue scorre perché le fasi del battito del nostro cuore si alternano ciclicamente, come il nostro respiro, eppure... eppure in tutto questo cambiare continuiamo a sentire di essere lo stesso identico io attorno al quale cambiamo pelle, emozioni, valori, lacrime, ma non questo sentirci un " io "; che è un io identico a quello di tutti gli altri esseri.
Questo sentirsi di tutti quello stesso io dice cose che la nostra intelligenza non può ignorare: dice che il sentirsi sempre lo stesso io non cambia come fanno la nostra pelle e le nostre idee.
Perché non cambia?
Perché l'io è l'espressione della nostra centralità interiore, che non cambia perché non è sottomessa al doversi modificare. 
Non si modifica perché questa centralità è assoluta, ed è la traccia della presenza del Mistero assoluto che è in noi, tanto quanto noi siamo in esso in dipendenza della visuale dalla quale si considera l’esistenza, se dal punto di vista individuale e umano o da quello centrale perché divino.
Naturalmente il nostro io è diverso per ogni essere, ma è il nostro sapere di essere quell'io che è identico.
È identico perché espressione del sé interiore che ne è la causa.
Sé che è irradiato dal Mistero assoluto, infinito ed eterno.
È questo sé che vive di nuovo, non l'io, e vivendo si sentirà un io nuovo, senza la memoria di tutti gli io che sono morti.
Senza quella memoria non ci può essere responsabilità, e anche se il nuovo io dovrà pagare per gli errori commessi dagli io che lo hanno preceduto, contenuti nella memoria del sé, non potrà essere incolpato per quegli sbagli che non sono più i suoi.
Il sé interiore e spirituale di ogni essere conserva memoria di tutti gli stati attraversati dagli " io " nei quali si è espresso vivendo, ma ogni nuovo io è diverso da quelli che lo hanno preceduto, anche se nel suo essere diverso ha compiti da portare a termine ereditati da tutti gli " io " che il sé interiore ricorda.
Per questo quando chiesero a Gesù di chi fosse la colpa della cecità di un uomo Gesù rispose che non era dei suoi genitori, e neppure di quell'uomo, ma che la sua cecità aveva il compito di mostrare la grandezza di Dio.
Quella grandezza è anche nella pietà che cancella i ricordi, ed è la stessa che a tutti dà la possibilità di essere coraggiosi o vili, sinceri o falsi, uomini o demoni.

Chiunque disprezzi i difetti altrui, attribuendoli a ipotetiche colpe avute in esistenze passate, e di conseguenza disprezza anche chi il peso di quei difetti sopporta, nel suo disprezzare sceglie di essere vile, falso e demoniaco.

Nessun commento:

Posta un commento