domenica 12 gennaio 2014

London crazy

Gli Inglesi chiamavano Bombay "London crazy", e gli indiani, per vendicarsi, le avevano cambiato il nome in Mumbai, ma sembrava sempre la stessa Londra, solo un poco più pazza di quello che era stata prima. L'India è lo scrigno che custodisce la Tradizione più antica del pianeta, incomprensibile persino alla maggior parte degli indù, ma non ai maestri dello spirito che errano, prediletti dal Mistero, elemosinando briciole quando possono alzare al cielo monumenti d'oro, eretti col loro solo volerlo. Io lo sapevo perché ero stato iniziato ai piccoli misteri, tempo addietro, da una poverissima donna, quasi cieca, che lesse in me qualificazioni che mi rendevano adatto a sopportare il peso della Verità, quella che ti fa conoscere il mondo attraverso la somma dei suoi minuti particolari, quelli che sfuggono a tutti nel loro essere apparentemente insignificanti, e ora ero ritornato in questa terra sacra, perché mi attendeva il passaggio dai piccoli ai grandi misteri, ai quali si accede uscendo dalla propria individualità, ascendendo per la verticale che attraversa il centro dello stato di consapevolezza che aveva esaurito tutte le possibilità di essere, sul piano di realtà nel quale è imprigionato l'uomo quando è ancora un individuo.
Uthpal avrebbe dovuto portarmi a casa della mia ormai anziana maestra, con la quale comunicavo attraverso il sognare, perché voleva presentarmi un guru in grado di dare un ulteriore appoggio al mio slancio spirituale. In realtà un guru non insegna nulla, e il suo compito è solo quello di accompagnare il discepolo verso la comunicazione consapevole con la Centralità spirituale della quale ogni individuo, di questo e di altri mondi, è l'espressione formale e differenziata.
Quando un maestro ha svolto il suo compito principale, che è quello di trasmettere l'influenza spirituale che trasforma un aspirante discepolo in un iniziato virtuale, deve facilitare quella virtualità per renderla effettiva, ed essa diventa effettiva soltanto quando il discepolo, che conosce in modo assoluto i princìpi dell'esistenza e le sue ragioni essenziali d'essere, entra consapevolmente nel canale che è stato aperto dall'influenza spirituale, il quale conduce al Centro ineffabile di sé.
Arrivati alla casa della mia maestra Uthpal mi lasciò scendere dal suo riksciò, e se ne andò senza degnare di un'occhiata le rupie che gli stavo porgendo. Entrai senza bussare, sapevo che .: mi stava aspettando. Era buio all'interno, e quindi accesi la lampada a olio che sapevo essere nello stesso angolo della stanza dove l'avevo lasciata. Ero contento di sentire il respiro lieve della donna, alla quale dovevo lo scostamento del velo di sonno che aveva stretto il mio cuore nell'oscurità, quella che solo la luminosità interiore può dissipare. Lei tacque come sempre, sorridendo appena, e io le accarezzai la mano, morbida nonostante avesse una pelle che ricordava la carta crespa.
— Siediti— mi sussurrò ridacchiando
— Così ti sgranchirai le anchilosate anche europee, che ti danno quell'aria impettita adatta a un attaccapanni...— e rise di nuovo, divertita dal mio essere impacciato.
Sapevo che lei nel sogno mi vedeva come se i suoi occhi chiusi fossero aperti e vivi, ma ogni volta che lei mostrava di vedere l'esteriorità che disegnava il mio contorno... la superficie del mio essere era imbarazzata.
Mi accomodai sulla stuoia accanto alla sua, e mi parve che ridessero persino le ombre giocose che si allungavano sul viso di lei, dalla flebile luce emanata dall'olio che bruciava senza sfrigolare.
— Namastè .:— dissi forte, come se lei, oltre che cieca fosse pure sorda, e lei capì il gioco chiedendomi di urlare più forte, perché anche al buio non è facile capire gli stupidi...
La stima che .: aveva di me era di un tipo particolarmente difficile da inquadrare, inserendolo in uno schema che fosse molto distante da quello usato dagli allevatori di tori da monta, eppure… eppure in un certo modo nutriva una singolare forma di rispetto per i miei sforzi tesi a non combinar cazzate.
Io non le ero mai piaciuto, non perché fossi un occidentale, con l'aggravante di essere addirittura italiano, ma a causa dell'inclinazione a esagerare che molti anni prima mi aveva spintonato in India, alla ricerca del peggiore ostacolo alla conoscenza: la droga.
Naturalmente avevo lasciato al vento del ricordo quelle amare esperienze, ma tra quei ricordi c'era anche quello del motivo che mi aveva condotto da lei, nella speranza che potesse guarirmi da un'epatite che stava consumando il mio organismo.
Lei era la curatrice di un villaggio sui monti al nord dell'India, ma nessuno sapeva del suo essere soprattutto un guru.
L'India è piena di falsificatori che hanno in mente di catturare i numerosi occidentali che si avventurano in quelle terre alla ricerca di un maestro, così accade spesso di essere fermati per strada da mascheroni colorati sotto a capigliature da rasta, impugnanti lance intarsiate i quali, dopo averti fissato con occhi che vorrebbero simulare magici sguardi col loro luccicare di follia selvaggia e predatoria… stavo dicendo che questi falsi guru ti dicono che era da molto tempo che ti stavano aspettando e che, finalmente, il Mistero ti aveva condotto da loro, guardiani severi di segreti talmente pericolosi da poter essere rivelati solo a un eletto quale, con esagerata evidenza, tu mostravi di essere.
Alcuni di questi personaggi da incubo possiedono poteri psichici in grado di circuire le menti ingenue che consegnano loro tutti gli averi… dei quali dovranno liberarsi per avere accesso al conoscere che terrorizza i potenti.
In realtà nessun maestro può scegliersi i discepoli, come nessun aspirante allievo può decidere quale debba essere il guru dal quale ricevere l'iniziazione, questa impossibilità è data dal Mistero assoluto che decide, inviando segni al guru, perché nessun aspirante allievo sarebbe in grado di leggere un qualsiasi segno inviato dall'Intelligenza universale.

La mia maestra - chiamarla così mi pare sia inappropriato, perché in realtà lei non mi ha mai insegnato nulla - mi scrutò da dietro le palpebre saldate degli occhi e sospirò:— Ragazzo mio, il mio tacere non ti terrà più compagnia perché è arrivato il tempo, per te, di ascoltare un silenzio che non è più di questo mondo
— Tu non hai mai avuto bisogno di me
— Ma ora hai necessità di sapere che oltre a ciò che sai di essere, e dei limiti che hai scavalcato, c'è una Realtà più grande da dover considerare e vivere, una Realtà capace di amare anche i propri nemici, e l'essere che tu sei ancora è il tuo vecchio nemico che devi prima abbracciare per poterlo vincere
— Dovrai scioglierne le difese senza bisogno che si commuova per sé, né per te
— Dovrai salutarlo senza guardare giù— poi mi diede un foglietto di carta con sopra scritto, in Sanscrito, quello che doveva essere un indirizzo
— Noi continueremo a vederci in sogno
— È ancora presto per andarmene, ma troppo tardi per voler tornare—
Uscii dalla stanza in un silenzio simile a quello che si vive appena si è stati lanciati nel vuoto, sapendo, anche senza poterle vedere, che sotto di sé ci sono le braccia di una madre pronte ad accoglierti.
Fermai un riksciò e mostrai il foglietto all'uomo che gli pedalava sopra, il quale mi disse che la strada da percorrere era tanta, perché la via si trovava all'interno del Bhendi bazar, luogo di fumerie d'oppio e di prostitute, posto pieno di pericoli per le tasche di un europeo come ero io, e anche per la sua vita.
Gli mostrai il mio sorriso rassegnato, e lui intuì che non potevo andare altrove.
Non mi è mai piaciuto farmi scarrozzare dalle gambe scarne che spingono un riksciò, ma lo stomaco attaccato a quelle gambe di quella fatica sopravvive e, insieme a lui, anche i suoi bambini, così spostai l'attenzione sui lati della vita frenetica che scorrevano a fianco, costituendo l'insieme di ostacoli che chi pedala non sempre riesce a evitare.
In quell'intrico rischioso l'incidente diventa consuetudine, e in questa consuetudine l'abilità di chi ci vive in mezzo si affina, al punto da apparire quasi miracolosa. L'interpretazione che accomuna il credere degli indiani li induce ad avere grande fiducia nell'ordine cosmico naturale, quello che gli occidentali chiamano Provvidenza, e non è raro vedere delle mamme che siedono il loro bambino sopra un muro alto due metri, in attesa di andarlo a prendere più tardi, quando potranno. Sotto allo stesso bambino, in un attimo, si radunano occidentali pronti a prenderlo nel caso cada, e il bambino, che da lì non cadrebbe nemmeno se fosse preso a bersaglio da un tiro incrociato di cannoni, li guarda stupito, pensando di avere qualcosa che quelli sotto di lui vogliono portargli via.
Una volta, molti anni prima, provai a condurre un riksciò, e scoprii che è difficile farlo perché il mezzo tende, a ogni spinta sui pedali, a girare a sinistra invadendo il marciapiede. In India la guida è a sinistra, come in Inghilterra, e per gli europei del continente non è semplice attraversare la strada, a causa di un riflesso condizionato che li induce a controllare chi arriva a sinistra e poi, dalla metà strada in avanti, girarsi sulla destra, quando si è fortunosamente sopravvissuti alla prima metà dell'attraversamento. Una volta un riksciò mi infilò da dietro, e mi portò seduto sul manubrio per una decina di metri prima di riuscire a bloccarsi, facendomi ruzzolare a terra dopo aver strusciato la faccia sulla ruota davanti; da allora attraversai le strade roteando velocemente la testa a destra e a sinistra, come un invasato, per dare modo alla Provvidenza di avere il tempo di proteggere anche il resto del mondo.
Il Behndi bazar lo conoscevo bene, perché nel mio primo soggiorno a Bombay andavo a fumare l'oppio nelle fumerie che ne riempivano le strade. Immagino che a quel tempo fossero legali, ma non ne sono certo perché in quel quartiere non era necessario che lo fossero. Sui balconi delle case di legno stavano le prostitute, a volte bambine al di sotto dei dieci anni di età, che guardavano in basso, alcune alla ricerca di un momentaneo principe azzurro, altre nella speranza che quel principe morisse di infarto mentre ansimava su per le scale che portavano ai loro letti.
Ricordai la prima volta che andai in una di quelle fumerie, in compagnia di alcuni amici, per dar modo alla mia curiosità di resistere alla tentazione del vizio.
Quella notte fumai una trentina di pipe, senza pensare a quanto ammontasse il numero di palline che potevano uccidermi, perché per me l'atto del fumare, fumando io erba e fumo che non costituiscono un pericolo a breve termine, non poteva essere pericoloso.
Stetti due giorni e due notti in coma, e mi svegliai con a fianco uno degli amici che mi disse di essere stato convinto che non mi sarei più destato; mi porse un cilum di hascisc da fumare, per farmi riprendere più in fretta dal torpore, e mi riaddormentai per altre lunghe e, per i miei amici, interminabili ore.
In quegli anni campavo come un animale selvatico, che era riuscito a fuggire dalla gabbia dove viveva della violenza di chi lo aveva catturato, e l'ultima cosa alla quale davo importanza era la mia stessa vita, che ritenevo fosse il dono offerto dal sarcasmo di un cielo oscuro che mi rideva dietro.
Anche allora, però, qualcosa in me si ribellava all'idea che la realtà sofferta non avesse un senso.
Ero di certo un materialista nelle mie convinzioni, e sorvolavo sul fatto di avere un'ideologia che detestava le ideologie.
A distanza di tanto tempo devo ammettere che la vita è stata magnifica, nel suo aver mantenuto a lungo integra la tanta pazienza avuta nei miei confronti ma, si sa, anche la pazienza capace di attendere che una cometa si diverta per un intero giro sulla giostra della galassia ha un termine, e la scia lasciata dal mio nucleo di ghiaccio stava lentamente e inesorabilmente disperdendosi, senza saperlo, insieme al dover diminuire di un gelo interiore che stava morendo.

Io e il conducente di riksciò arrivammo, dopo aver percorso praterie di pensieri diversi tra loro, alla casa indicata dall'indirizzo che mi aveva dato .:
Pagai il dovuto e salutai, ringraziandolo quasi quanto lui ringraziò me, insieme al Cielo che mi aveva condotto da lui, e mi infilai nel corridoio buio che guardava la strada senza farsi vedere. Se non avessi saputo della moltitudine di abitazioni senza corrente che ci sono nelle città indiane, avrei pensato che il percorso che conduce alla sorpresa debba essere, per forza di cose, oscuro.
A quella casa ci ero arrivato, ma non sapevo a quale porta bussare; fuori non c'erano indicazioni, e se ci fossero state io ignoravo il nome della persona che stavo cercando.
A dire il vero non ero nemmeno sicuro che quella fosse la casa giusta, perché quando davanti a noi si apre il destino migliore che possiamo sperare le forze oscure se ne accorgono, e fanno di tutto per impedire di attraversare la linea invisibile che esse hanno tracciato, e che non deve essere calpestata mai.
Ero in grado di riconoscere, nell'immediatezza intuitiva della nuova e diversa intelligenza che mi possedeva, il brillare alieno degli occhi della "gente non gente", ma non sempre erano loro a disporre ostacoli sul mio cammino. A volte era il mondo stesso a farlo, perché chi ha in vista la propria uscita dal mondo deve aspettarsi che al mondo quella scelta appaia come inopportuna.

Tutto ciò che è, pietre comprese, è energia vibrante di vita che custodisce in sé aspetti diversi dell'infinità del Mistero. Il mondo intero, l'intero universo è vivo, e ogni sua parte lo è a suo modo, sul piano di realtà in cui si trova a essere.
L'universo è uno, a immagine del principio primo riflesso dal Mistero, ma ha diversi strati di realtà concomitanti che si compenetrano l'una nell'altra, perché non c'è una realtà che possa fare a meno delle altre. Ognuna è contingente, ma nello stesso tempo necessaria all'insieme che è, quando rapportato al Mistero assoluto, da considerarsi un accidente. Un accidente che non è casuale, perché ha le proprie ragioni essenziali d'essere, così come le ha ogni infimo componente dell'universo.
Di fatto, dovendo trovare una persona dal nome ignoto, che forse abitava in una casa di cui non ero certo dell'ubicazione, dava l'idea esatta di quello che ho inteso dire attorno all'esistenza.
Non riuscivo a capire il perché la mia maestra non mi aveva detto il nome della persona che stavo cercando; io avevo dato per scontato che fosse scritto sul biglietto che mi aveva dato, ma fattolo leggere a due persone, entrambe dissero che era il nome della via e il numero di una casa con molte abitazioni, senza altre indicazioni.
Avevo domandato a dei negozianti della stessa via se conoscessero un guru che viveva lì, ma tutti negarono ce ne fosse uno, consigliandomi di andare al Tempio poco distante dove avrebbero saputo senz'altro chi potesse essere il maestro che cercavo.
Ormai stavo disperando di riuscire a trovarlo, dopo che al Tempio mi dissero che non ne sapevano nulla, così presi una stanza in una Guest House del quartiere, senza riuscire a trovarne una che non confinasse con un bordello.
Speravo di mettermi in contatto con .: sognandola, ma qualcosa mi impedì di addormentarmi.
Attraversai la nottata ascoltando i rumori attorno, che parevano un concentrato del brusio fastidioso che di sicuro circonda il pianeta, e trovai ridicolo che fossero in molti a pensare che l'umanità sia la sola a produrlo, come se nell'enormità indefinita dell'universo il nostro fosse l'unico pianeta abitato, perla smagliante dell'ostrica universale nella quale era riuscito a introdursi un corpo estraneo, granello di argilla che aveva dato modo alla stessa ostrica di proteggersi dal fastidio mortale che le procurava quell'intrusione, circondandolo di una preziosità luminosa che sfavillava dal centro di ogni individuo.

È stupefacente il modo attraverso il quale la meraviglia sa travestirsi da consuetudine, e in questo suo fluire miracoloso ogni cosa assume l'aspetto che allarma di meno, tra quelli che prenderanno la forma del possibile. Intanto la mia di forma camminava, tra le luci e l'ombra che queste ultime generavano, consapevole di sé e del mondo, lasciandosi scorrere a fianco di una volontà invisibile e infinita, senza paure, senza desideri diversi dal bene comune nel quale la verità pare essere diversa da quello che è.

Ricominciai a osservare la vita guardando dietro agli occhi della gente, tra la selva delle intenzioni nascoste, dove predatori e prede si scambiavano favori; ero stato anch'io uno di loro, e avevo condiviso la loro stessa capacità data dal sentirsi una vittima colpevole soltanto di essersi difesa, e ora li misuravo con lo stesso metro che avevo usato per soffocare i miei sogni.
Non sarei più tornato indietro verso ciò che sono stato, perché per me nessuna cosa è più desiderabile della verità, e nulla è più doloroso dello stare sullo stesso lato dell'esistenza dove è in agguato chi questa verità vuole trafiggere.
Verità che non si limita a dire ciò che è, che non è, o che potrebbe essere, ma mostra quello che è meglio per tutti, lasciando morire i desideri che a tutti nuocciono.

La mia maestra mi aveva di nuovo imbrogliato, dicendomi che sarebbe stata acqua il dolce miele del sacrificio di sé.

Un mercante mi rincorse per regalarmi una rosa, che io affidai allo specchio di un lago che la accettò trascinandola nel profondo, dove nessun fiore può sperare di riuscire ad arrivare, e un breve scroscio di pioggia benedisse quel momento. Non ero ancora pronto come lo è stato quel fiore, e ancora non avevo il suo profumo, ma volevo donare me stesso con tutto me stesso al Mistero, perché da troppo tempo aspettava il mio risveglio finale.

La notte seguente rividi .: che mi sorrideva, intimandomi di tacere. Mi accarezzò amorevolmente con lo sguardo dei suoi occhi che sono ciechi al mondo, ma spalancati sul Mistero, che non può stare in nessuno sguardo diverso da quello infinito che gli appartiene.


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